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Archive for novembre 2014

DavidBowie_LOC

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Ci sono poesie brevi
come pioggia d’estate
tocca terra e svapora
ci sono poesie
come conchiglie
parentesi di paura
e poesie come relitti.
Niente è più come prima:
fuochi all’alba
una voce dall’altro mondo.

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BELLO

Belle queste piante fradice di pioggia

Belli questi tronchi verdi di muschio

Belle queste foglie sparse per terra

a mucchi

più densi meno densi

foglie piccoline come unghie

foglie grandi come mani aperte

Belle queste panchine trapuntate di foglie

Bello

Belli i fiori nelle aiuole

i crisantemi

Bella la grande magnolia

Bella la gingko biloba puzzona

Bello

Bella l’erba bagnata fangosa

Belli i cagnolini che si insudiciano

in quest’erba

e poi lentamente come in una danza

si posano

per fare la cacca

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Raccontare storie è come pregare, leggere storie è come pregare.

Sull’orlo dell’Apocalisse non ci resta che pregare,

per allontanare il buio, per nutrirci ancora di qualche luce,

in un’oscurità che dura forse da mille anni e che si espande

e che prenderà possesso del mondo come lo conosciamo.

E dopo, forse, un nuovo universo, un nuovo big bang.

Finalmente una donna ci legge la Divina Commedia, e ce la legge con una partecipazione, una commozione, un amore che ci impasta la carne e l’anima come una impastatrice planetaria. Lacrime di gioia e di dolore, voci dall’abisso della fame, furbizie di intelligenze sopraffini, singulti lunghi di passione, legami, malie, avventure, soavità, beatitudini. C’è tutto questo e molto altro nello spettacolo Vergine Madre che Lucilla Giagnoni ha presentato al teatro Astra dal 4 al 9 novembre.

Lucilla Giagnoni ancora una volta ci ha incantate con la sua passione, la sua generosità, la sua commozione. Un lunghissimo applauso alla fine dello spettacolo l’ha salutata e le ha detto arrivederci perché Lucilla il 16 gennaio 2015 sarà di nuovo a Torino con Big Bang, al teatro Cardinal Massaia.

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La copertina del libro

Radclyffe Hall pubblicò questo romanzo nel 1932, il primo dopo il grande scandalo de Il pozzo della solitudine del 1928. All’inizio, le vendite furono ottime – il pubblico si aspettava forse un nuovo controverso romanzo – ma poi, in breve, calarono a picco. Con Il padrone di casa Radclyffe Hall ritorna ai temi che più le stanno a cuore: la ricerca spirituale, la vita degli umili, il senso di unione che pervade ogni elemento del creato. Radclyffe Hall era una fervente cattolica, come lo possono essere forse solo i convertiti. Fu Mabel Veronica Batten, la sua “Ladye”, a influenzarla in questa direzione, e il suo “John” per tutta la vita non se ne allontanò mai.

Ho trovato questa edizione del 1937 (editore Corticelli di Milano; traduzione di Olga Gandolfo riveduta e approvata dall’autrice) durante uno dei miei soliti giri fra bancarelle e mercatini dell’usato. Credo che il romanzo da allora non sia più stato pubblicato in Italia.

Chi è dunque il padrone di casa del titolo di questo corposo romanzo ambientato in Provenza fra l’inizio del secolo scorso e la Prima guerra mondiale? Mi viene da rispondere: Dio.

Il protagonista è Christophe, che seguiamo dalla nascita fino alla morte. Fin dall’infanzia Christophe porta su di sé i segni straordinari della sua capacità di condivisione del dolore del mondo. Non è un ragazzino particolarmente sveglio, o attento, o bravo a scuola. Egli è essenzialmente buono, sa soffrire con tutto il cosmo, sa partecipare della sofferenza di tutte le creature, animali e umane, e sa fare proprie le pene del mondo. Non riesce spiegarsi perché sia così, e a volte ne è spaventato, e nulla riesce a sollevare la sua angoscia, neppure la religione, incarnata qui dal cugino Jan, che studia per diventare prete, e dal sacerdote del villaggio. Spesso si fa domande a cui non sa rispondere, a cui nessuno nel villaggio sa rispondere, e non capisce da dove possano sgorgare. Christophe sa di essere solo, sa che nessuno può capire ciò che prova e quindi tiene per sé il suo tormento, non riuscendo neppure a confidarsi con il cugino Jan, troppo impregnato di ortodossia cattolica.

Christophe è una figura cristica, una rappresentazione di Gesù, dall’esercizio del mestiere di falegname fino al drammatico sacrificio finale, in una notte terribile in Palestina quando si consegna ai suoi carnefici nel supremo olocausto di sé. Perché c’è la guerra, la Grande Guerra, e Christophe è soldato in questa guerra. Lui che vorrebbe soltanto che tutti gli uomini si amassero e si comprendessero, non capisce perché ci si debba massacrare, per che cosa, a quale scopo.

Una Provenza assolata, statica, mitica, antica, dove la modernità stenta a farsi largo. Falegnami, contadini, ciabattini, pescatori, ostesse, popolano un mondo povero e diseredato. Il mondo che stava così a cuore alla ricca Radclyffe Hall.

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